Ma chi diavolo ha inventato il lavoro? La parola “Lavoro” è stata svuotata. Oggi non si lavora… oggi ci si costruisce la propria bara. Una bara in cui dentro buttiamo i nostri desideri e i nostri sogni. Lo chiamiamo ancora lavoro, ma il significato è cambiato! L’idea di andare a lavorare ucciderebbe anche il più forte dei guerrieri. Dovrei alzarmi ogni mattina per chiudermi in un negozio e passare la giornata accarezzando l’ego di un cliente nella speranza che dopo tutta quell’inutile fatica compri una maglietta di pessima qualità che getterà nell’immondizia prima dello scadere del terzo giorno? E’ triste pensare che oggi si parli del lavoro in questi termini. Dovrei affannarmi per trovare il modo più meschino per gonfiare e arricchire il fatturato della mia azienda? A quale scopo? Sopravvivenza? Lavorare come un animale per il rendiconto personale di un padrone del quale non conosco il volto e il nome e che gentilmente, mutilando la mia personalità e annientendo il mio spirito mi consegna nelle mani quattro briciole affinchè io possa comprare noia e distrazione… questo? Questo chiamiamo sopravvivenza? Questo chiamiamo “vivere”?
Trovati un lavoro, ti dicono… un lavoro normale. Tipo, chiedo io, di che genere? In che senso “normale”? Che so… prova a fare… non so: il venditore. Il venditore, dici? E perchè? Per fregare la gente ogni volta che mi capiti l’occasione e vivere braccato dai numeri in salita e in discesa; oscillazioni di materia invisibile che misteriosamente pilota la nostra vita. Cosa dovrei fare? Trovarmi con in mano un contratto incandescente a caccia del fragile pollo a cui regalarlo grazie a un’infinita macchinazione psicologica, comportamentale e con un abile strategia della più vile comunicazione portarlo a firmare? E’ questa la mia giornata? Portare un archivio di firme come trofeo personale? Se si imparasse quella fantastica Retorica per scopi più alti, mi chiedo… se si trasportasse quella capacità di sorridere ed essere umanamente disponibili anche nella vita quitidiana, mi chiedo… se imparassimo a parlare bene, a comunicare onestamente allora potrei confortare il dolore di mio figlio che rientra a casa con un occhio nero solo perchè ha difeso un’ingiustizia vista casualmente nel tragitto verso casa… oppure potrei parlare con mia madre e chiederle perchè è così triste negli ultimi giorni… cos’è successo? Parlarei della vecchiaia e del malinconico peso della vita per trasformarlo in sorprendente meraviglia. O potrei dare una mano ad una ragazza che consuma le sue notti dentro la macchina di uno sconosciuto… o con in tasca l’ennesima incartata di eroina. Invece scelgo di usare queste nobili capacità, questa fortuna tra le labbra, questo oro divino… per vendere! Dio… come siamo arrivati a questo punto? Ho un vuoto di memoria…non ricordo quando è avvenuto il passaggio, quando è stato il momento, il giorno e l’ora esatta in cui abbiamo smesso di vivere e abbiamo cominciato a lavorare! Quando siamo diventati macchine di carne e ossa? Quando abbiamo smesso di innamorarci e gustare una semplicità senza l’obbligo di riempire un libro contabile oppure organizzare immediatamente un appuntamento con la banca o sforzarci di avere l’agenda piena, scritta con inchiostro di frenesia e isteria, di fame e apatia, di uforia e barbiturici. Quando cazzo siamo diventati sempre più veloci, sempre più cupi, più tristi, più depressi, più malati, più competitivi, più deboli, più assassini, più truffatori, più crudeli, più insensibili… più morti?
Mentre pronunciava queste parole un ago rovente gli bucò il braccio. Urlò senza emettere un suono. Il lettino su cui era ammanettato tremò vacillante. Si dimenava senza speranza quando due uomini gli si pararono davanti e conclusero:
“Non è ancora pronto?”
“No, signore.”
“Com’è possibile?”
“Non lo sappiamo.”
“Elencatemi gli obiettivi raggiunti”
Il loro alito infestava tutta la stanza. Quell’orrenda puzza di tabacco stantio e carne umana soffocò il respiro del povero ammanettato.
“Dunque, abbiamo spento rispettivamente: il suo corpo, il suo desidero, il suo amore, il suo coraggio, la sua rabbia, la sua compassione…”
“Abbiamo tutto! Cosa manca ancora, diamine! In cosa sta ancora lottando? Cosa non vuole mollare, ancora?!”
“La coscienza critica, signore…”
“Cosa?!”
“La sua coscienza critica, signore. Non vuole lasciarla andare.”
“Bene… bene… non so che farmene di un automa dotato di coscienza critica!”
“Potrei suggerire…”
“Fatelo fuori!”
“Ma signore, non credo che…”
“Fatelo fuori, ho detto! E fai in modo che i prossimi non siano così volgari e miserabili!”
Sfilarono l’ago rovente, avviarono la procedura e per l’uomo ammanettato che sognava una vita aggrappato alla sua anima non ci fu altro che buio e silenzio. Il suo corpo ormai putrefatto e divorato dai vermi è ancora seppellito dietro quella fabbrica dorata… seppellito insieme al mondo intero.