Un giorno abbiamo aperto la stessa porta e siamo entrati in due diverse stanze.

Omaggio al genio di David Foster Wallace.


  • E da quando Mario ha iniziato ad avere queste crisi”?
  • “non saprei, Francesco! Non l’ho capito subito. Ha iniziato a guardare nel vuoto, di tanto in tanto…”
  • “Capisco. Succede sempre così, Marta. Non devi sentirti in colpa. Purtroppo è una malattia bastarda”.
  • “Credi che potrà riprendersi”?
  • “Non bisogna perdere la fiducia, Marta.
  • “A volte mi fa paura. E’ come…”
  • “Fatti coraggio, ci siamo noi. Non vi lasceremo soli. Non lasceremo Mario da solo, lo sai”.
  • “Sì, Luca, lo so. Però a volte mi sento davvero terrorizzata e non so che fare per aiutarlo”.

Non sopporto le persone invadenti. E’ una cosa che proprio non riesco a nascondere, il fastidio. Adesso, per esempio, sono qui, a cena con amici, non amici qualunque. Di quelli ne conosco tanti, no! Questi sono amici veri. A quelli non darei le mie chiavi di casa. Questi no. Li conosco da sempre, i miei amici. Non sono uno che ti chiama amico così, tanto facilmente. No. Per questo i miei amici sono davvero pochi. Sergio, ad esempio. E’ seduto di fronte a me, con l’eterno maglione di lana grossa e gli occhiali tondi d’osso. Un eterno ragazzone. Lo conosco dai tempi della scuola. Sempre insieme, inseparabili.

Si sono messi a parlare di lavoro. A me non interessa quando parlano di lavoro. Francesco ha sempre avuto questo cattivo vizio. Ma dico io, stiamo uscendo insieme e ti metti a parlare di malattie, di farmaci e cazzate simili? E meno male che siamo tutti in ottima salute. Però capisco che il suo lavoro sia una specie di missione. Sergio no. Con Sergio ne abbiamo combinate. Sì! Ne potrei raccontare di avventure con Sergio.

  • Però mi fa paura quando ti guarda con quegli occhi”.
  • “Non devi farci caso, Marta. E’ la malattia.”
  • “Ma non si può fare niente”?
  • “Per cosa”?
  • “Per queste crisi. Guardatelo adesso. Dio mio, non ci riesco. Scusatemi, non ce la faccio”.

Una volta… questa non la dimenticherò mai… una volta io e Sergio conoscemmo due ragazze davvero carine. Mah, avevamo più o meno diciassette anni. Davvero carine, sì. E si erano innamorate di tutti e due. Davvero. Uno o l’altro, andavamo bene tutti e due. E’ un po’ contorto da dire ma, diavolo, che cosa non combinammo con quelle due. Chissà che fine hanno fatto. Luca invece è più taciturno. Infatti, anche stasera è seduto vicino al muro, all’angolo. La prossemica direbbe che è un atteggiamento di autodifesa. Timido! Un atleta incredibile. Andavamo insieme in palestra a fare quelle arti marziali strane, quelle per veri uomini. Bah, chissà che ci aveva preso. Io ne approfittavo per guardare il culo alle ragazze ma lui, diavolo, lui era bravo. Una volta mi slogò una spalla con una mossa del cazzo. Ma dico io, sono cose da fare ad un amico? Però è un bravo ragazzo. Molto sensibile.

  • A questo punto, credo che dovresti prendere in considerazione l’idea di farlo ricoverare, Marta”.
  • “Internare? No, Sergio. Come potete chiedermi una cosa del genere?
  • “Sergio ha ragione, Marta. Sarebbe accudito, sarebbe curato”.
  • “Non so. E’ così difficile. Non credo di riuscirci”.
  • “Non è cattiveria. Non devi pensare questo. Lo fai per lui, per la sua sicurezza innanzitutto. In clinica c’è personale specializzato, verrebbe curato bene”.
  • “Il reparto n. 6”?
  • “Ma non c’è un reparto n. 6 nella clinica del professore”.
  • “C’è sempre un reparto n. 6, Francesco. Ovunque”.
  • “Vabbè!”

Anche Francesco è un caro amico. Lui fa il chirurgo plastico. E’ quello ricco. Però se lo merita. Si è fatto il culo sui libri quando noi altri invece andavamo a donne o a ubriacarci. E adesso è arrivato. Sì, se lo merita proprio. Mi ricordo che studiava sui libri di seconda mano perché non si poteva permettere di comprarli nuovi. Che cervello! Adesso mi sta parlando. Che bello, siamo l’unico tavolo occupato. Di solito non è così, di solito c’è più gente.

A me, però, piace così. La gente mi disturba. Odio il vociare ridanciano così come odio i sussurri nelle chiese. E poi dovrebbero vietare l’ingresso nei ristoranti ai bambini. Si muovono troppo, se ne vanno in giro allo stato brado, gridando e ridendo in mezzo ai tavoli. I genitori dovrebbero lasciarli a casa. Oppure sedarli. Non dico una cosa pesante, del laudano basterebbe ma ho scoperto che l’hanno vietato. Ma come si può vietare il laudano, dico io? Allora, delle benzodiazepine! O del fenobarbital. Mica tanto, giusto il necessario perché non rompano le palle. Questo risolverebbe il problema dei bambini. Resterebbero, nell’ordine, i genitori, i cellulari e i televisori. Se esci con degli amici e vai in un ristorantino, vorrai un minimo di pace e tranquillità per chiacchierare! Nel mio ristorante, i cellulari si lasciano all’ingresso, nel guardaroba insieme ai cappotti e ai bambini. Non è rilevante che io non abbia un ristorante; se ce l’avessi, sarebbe così: un luogo di silenzio, buona musica in sottofondo, atmosfere e discrezione. Perché non ho un ristorante? Mi stanno parlando.

  • “Mario, come ti senti”?
  • “Mario, Mario! Non sente! Guardate i suoi occhi. Dio, che pena.”
  • “Oh Signore. Mario, tesoro, cosa ti sta succedendo?”
  • “Tenetegli ferme le mani. Io gli blocco le gambe. Marta, slacciagli la cravatta, sta soffocando”.
  • “Attenta! Potrebbe morderti!”
  • “Luca, non dire scemenze.”
  • “Cameriere. Presto, chiami un’ambulanza. Ed aiutatemi a tenerlo fermo, diavolo.
  • “Mio Dio, aiutaci.”
  • “Francesco, fai qualcosa, perdio. Sei un medico. Non vedi che sta schiumando?”
  • “Stiamo calmi, dai. Marta, smettila di piangere, dai, che è peggio. E tu, Luca, vai o no a chiamare un’ambulanza?”
  • “No, non un’ambulanza, Francesco. Chiama la clinica. Fai venire loro”.
  • “Ti sei decisa?”
  • “E cos’altro posso fare? Ma lo vedi?”
  • “Dio, non ho mai visto niente di simile”.
  • “Sergio, non fare il bambino. Aiutami a tenerlo fermo!”

Sergio e Francesco. Quello che non riesco a capire è chi di loro abbia invitato questa signora che ho alla mia sinistra. Non è brutta, anzi è piuttosto carina. Magari non proprio una ragazzina, ma che importa, neanche noi siamo di primo pelo, diamine. Però questa qui si è incollata addosso. Mi sta parlando da quando siamo arrivati. Non ricordo che ci abbiano presentati. E non vorrei creare problemi coi miei amici. Qualcuno di loro, sicuramente, l’ha invitata. E lei, anziché passare la serata a chiacchierare del più e del meno col suo cavaliere, si è messa accanto a me e parla, parla. Parla! Vecchio mio, hai fatto colpo. Beh, in effetti, sono sempre stato il più spigliato del gruppo con le donne. Bello? Mah, non mi definirei bello. Piuttosto, ci so fare, ecco.

Però, signora, se smettesse di starmi così vicina magari potrei anche essere più gentile. E’ che non sopporto le persone invadenti. Non è per lei, è che però, guardi! non riesco neppure a muovermi. Le sembra logico? Che fa, piange? Lo sa che è proprio strana? Ma lei chi è? Se mi lascia stare il braccio, possiamo anche andare al mare, dopo. Le piace il mare, di notte?