Io adoro i gatti.
Questa storia, però, riguarda un cane: Pippo.
Pippo non è un nome di fantasia; il cane di cui vi voglio parlare si chiama davvero Pippo e assomiglia, ad una certa distanza, ad un setter, nota razza di cani da caccia. Ritengo che proprio questa evanescenza sia il motivo che ha spinto il suo “proprietario” ad abbandonarlo sulla strada di casa mia.
Cinque, o forse anche sei anni fa, un bel giorno o una bella sera, non ricordo, fece la sua comparsa Pippo. Non lo ricordo perché non me lo aspettavo e non sapevo che oggi, dopo tanto tempo, avrei desiderato ricordare con esattezza quel momento, il momento in cui ci siamo incontrati per la prima volta. E’ strano, vero, come siano i dettagli, le piccole cose, a roderti il cervello, a toglierti il sonno, a scavarti il vuoto dentro? E’ così anche per voi?
Pippo ha il pelo bianco e marrone; no, non marrone, color fegato, mi disse una volta un veterinario. Io non ho mai visto un fegato dal vivo se escludo qualche occhiata di sfuggita al banco macelleria di qualche supermercato. Comunque, color fegato e bianco. Ha importanza? Forse sì, tutto ha importanza, alla fine. Potete dirmi che ci sono migliaia di cani di quel tipo, simil setter col pelo bianco a macchie fegato e avete perfettamente ragione ma, per me, quello è Pippo. E solo lui.
Del resto, che ne sapete? Vi ho raccontato come ci siamo incontrati? Se l’ho fatto, vi ho mentito. Non lo ricordo. E’ stato circa sei anni fa ma come è successo, proprio, non riesco a ricordarlo.
Ha gli occhi buoni, Pippo. Dolci. Non sono proprio quelli di un cane da guardia né, credo, di un cane da caccia. No, lui ha gli occhi di un cagnolone da cucina, di quelli che si fanno strapazzare dai bambini, che ti guardano in continuazione alla ricerca della tua approvazione, che ti ringraziano ogni momento per il bene che gli vuoi.
Per il bene che gli vuoi! E che bene gli vuoi? Io lo amo, gli preparo da mangiare tutte le sere, lo accarezzo, gli parlo, ma poi? Quando la luna sale alta nel cielo, col freddo, con la pioggia, cosa faccio per Pippo? Beh, c’è Andrea che lo cura, gli ha dato le chiavi di casa e Pippo vive lì, in quella casa ancora metà in costruzione. Ha una cuccia, che non usa perché lui è vissuto libero e preferisce dormire sotto le stelle. Ma quando piove, d’inverno, è sempre meglio avere una cuccia al caldo.
Ecco una delle cose che mi ha insegnato Pippo: cos’è la libertà. Di questi tempi, non è cosa da poco. Pippo mi ha spiegato che la libertà è qualcosa che quando ti si radica dentro, indirizza ogni tuo comportamento, ogni ideale, ogni semplice pensiero. La libertà. Pippo preferisce morire che non essere libero. Questo mi ha insegnato.
Pippo mi dà sempre la zampa. Ad ogni occasione. Tu ti avvicini, lo accarezzi e lui, to’, ti mette in mano la zampa. “Ciao“, ti dice, “io sono Pippo“. Altro che saluti a colpi di culo. Una signora zampa, mica una zampetta da poco; eppure te la porge con una dolcezza che ti commuove. E ti guarda con quegli occhi buoni! Ti dice “grazie di essermi amico“.
Ecco un’altra delle cose che mi ha insegnato Pippo: l’amicizia. La libertà è niente senza amicizia. Per Pippo l’amicizia è come l’amore, dà sapore alla vita. La vita senza libertà non è vita. La libertà senza amicizia non è vera libertà. Ma queste, dice Pippo, sono le idee di un cane. E allora, una volta gli ho chiesto cosa pensasse dell’idea di libertà e di amicizia che hanno gli uomini. Fondamentalmente, lui è un ottimista. Dice che gli uomini non si capiscono più da quando hanno inventato il linguaggio. Sostiene che da quel momento, si sono divisi. “Pensa a noi cani” dice, “possiamo girare il mondo e quando incontriamo un altro cane, ci capiamo subito. Era così anche per voi, un tempo“. E devo essere sincero, non ho saputo rispondere se non farfugliandogli qualcosa sulla civiltà che permette all’uomo di affrancarsi dalla natura matrigna. Lui sorride, quando sente questi discorsi, e dice: “beh, parli tanto di civiltà ma non mi sembrate felici. Non dev’essere qualcosa di tanto bello, la vostra civiltà“. Secondo me divaga però provate voi a dargli torto.
Gli ho chiesto se ha mai letto Nietzsche o Schopenhauer. Dice di no. Non gli credo. Oppure è vero e allora mi dico che non serve leggere, conoscere il pensiero dei grandi filosofi, citare Socrate, Erodoto, Campanella, Giordano Bruno e sputare sulla viltà di Galileo, per essere felici. Dico, non serve tutta questa roba. Pippo è felice. Io lo vedo, quando mi guarda i suoi occhi sono sinceri. E’ felice. E lo è con poco, con una carezza, una leccata reciproca, un abbraccio.
Ha tanti amici, Pippo. Molti più di me. C’è una signora che gli porta, tutti i giorni, da mangiare. Di tutto, pasta, crocchette, quello che ha, quello che può. Poi c’è Andrea. E poi anche io. Ecco, questa è una cosa che ho notato. Tutte le persone che portano da mangiare a Pippo, sono persone che fanno i conti con i soldi che non bastano. Me ne accorgo da come vestono, da come si muovono, da come mi guardano. Non ci sono direttori di banca, né commercialisti o avvocati che portano da mangiare a Pippo. No. Povero Pippo. E’ sfortunato. Magari un BMW si fermasse per dargli da mangiare un trancio di salmone. Pippo non sa neppure cos’è il salmone. Ma a lui non importa. Lui adora le crocchette del supermercato, quelle che costano meno e non smette di darti la zampa e di darla a chiunque si fermi ad accarezzarlo o, semplicemente, a dirgli qualcosa di affettuoso. Lui non capisce le parole ma comprende perfettamente il senso. Riconosce il tono perché, come mi ha detto più di una volta, “è il tono che fa la canzone“.
“Non è possibile che tu conosca i proverbi francesi” gli ho detto una volta. “Probabilmente sto impazzendo, perché sono convinto che tu parli così“. Ha riso per più di mezz’ora.
“Ne devi imparare di cose!”, mi ha detto. “Hai appena imparato che la terra non è al centro dell’universo, che ti devi scontrare con il fatto che neanche l’uomo è al centro dell’universo“. Si dà certe arie!
Io e Pippo passeggiamo sempre, la sera, lungo la via del cimitero. Certo, detto così, sembra lugubre, invece vi garantisco che è bello passeggiare dopo cena tra i cipressi e la campagna. A volte la luna ci fa compagnia e d’estate si sentono i grilli e il profumo dell’erba secca e dei frutti maturi, e poi le lucciole! Parliamo tanto. A volte pisciamo insieme. Mica dappertutto. Non ho ancora capito come fa a sceglierli, i posti, perché non si piscia a casaccio, sapete. No. Il posto va scelto con cura. E’ una questione di rapporti sociali. All’inizio ero scettico, poi mi ha spiegato che è come lasciare un messaggio in segreteria senza possibilità di mentire perché l’orina dice di noi molto più di tutte le parole di un medico laureato e specializzato. E soprattutto gratis. Mi ha convinto. Pisciamo e parliamo. A volte corriamo dietro alle ombre. Io non chiedo di più. Anch’io sono felice.
Qualcuno, ogni tanto, mi chiede se Pippo è il mio cane, se sono il suo padrone. Come se fosse logico pensare che un essere vivente sia il padrone di un altro essere vivente. Questa non me l’ha detta Pippo, questa l’ho capita da me.
Oggi dopo più o meno sei anni, un SUV nero lucente, marca BMW si è fermato. Ne sono scese due persone, un uomo e una donna. Ma Pippo non li ha visti. Lui dormiva in mezzo alla strada. Lo hanno investito. “Non voleva spostarsi“, hanno detto.
Pippo diceva sempre: “la morte non è bella o brutta. E’ morte. E sulla morte nessuno può avere da ridire, perché è l’unica cosa che, prima o poi, tocca a tutti“.
Cos’è il dolore? Non ho fatto in tempo a chiedertelo, Pippo.
Sto passeggiando per la via del cimitero. Da solo. Mi manchi, Pippo. Spero che questo nodo che mi impedisce di respirare si sciolga presto e che le lacrime comincino a scivolare giù. Un pensiero mi attraversa: chissà se qualcuno proverà un dolore così vero e sincero, quando la morte verrà da me.