Quando passeggio per strada incontro un sacco di Giovani. In un certo modo anch’io mi sento giovane, ma non è così. Non sono giovane… non sono più giovane. Sono in quell’età in cui si è vissuto abbastanza per cominciare a costruire una parvenza di filosofia esistenziale, sapete, quel bagaglio in cui getti tutti gli errori e le esperienze senza una forma, senza un’elaborazione, senza un senso. Ed è proprio la stessa età che li mette insieme e ne da un nome. Ecco sono in quell’età in cui comincio a dare un “nome alle cose”. Tutte le parole pronunciate con rabbia, con rancore, parole sbagliate dette nel modo sbagliato al momento sbagliato. Tutte le esperienze vissute male, senza coscienza, senza essere presenti nella sana goduria del momento, tutte quelle cose viste e sentite prive di sostanza. Ecco, quel bagaglio comincia a prenderla, una forma! Quasi per un magico incantesimo, un regalo da parte di un dio sconosciuto e nascosto, tutte quelle “strane cose” cominciano a trovare il loro posto naturale. Magnifica tortura dell’età!
Ma dall’altra parte, sono in un’età in cui il meglio è ancora da scoprire. Tutto è da scrivere. E’ come avere una penna sempre a portata di mano, ma neanche l’ombra di un pezzo di carta su cui scrivere. Tutto è “futuro”. E sappiamo bene che il futuro spaventa… perché non c’è pezzo di carta su cui puoi scriverlo.
Insomma, mi sento giovane, ma in realtà non lo sono! E camminando per le strade della città sento e vedo quello che, molti anni prima, era il mio modo di parlare, di camminare, di gesticolare… e puntualmente penso… santo cielo! I Giovani: quelle risate sforzate, senza un vero scopo. Risate piene di insicurezza, con voci mal gestite, stridule o graffianti. Contentezza rivolta a “nessuno”, ma allo stesso tempo “a tutto il mondo”. Quell’imbarazzo del non saper gestire il silenzio, con l’etere accompagnato sempre da suoni, versi, urla scomposte, imprecazioni, passatempi e vuote rivelazioni. Quei corpi così inopportuni, scoordinati, rozzi o eleganti, adulti e infantili, che danno sempre l’impressione di trovarsi nel posto sbagliato, rivendicando, però, la legittima presenza. I Giovani… ora, guardandoli, mi fanno quasi tenerezza. Nelle loro prove di forza, nelle loro seduzioni nobilmente sgarbate. Prede degli ormoni, della scoperta, dell’arroganza, della netta sensazione di possedere tutto il mondo.
Quando guardo i Giovani mi chiedo… santo cielo! Anch’io ero così, certo. Tutti noi vogliamo che non sia così. Critichiamo le esuberanze della nuova generazione e continuiamo a ripeterci che “noi eravamo diversi”, ma alla fine dei giochi non è così. Probabilmente non lo ricordiamo più, l’abbiamo sepolto da qualche parte in quell’abisso di nuove esperienze e responsabilità che non riusciamo più a sentire quel profumo di arroganza, quella sensazione di essere padrone delle proprie giornate, dei propri pensieri, delle proprie passioni. Ripensandoci e guardandoli, sono arrivato ad una conclusione… “anch’io ero un ammasso di caratteri plasmati dello stesso corpo!”
Come si può ricordare come si era quando un giorno eravamo una persona e il giorno dopo ne eravamo un’altra? Orribili tentativi per trovare spazio nel mondo, questo eravamo! Rivedendomi ragazzo penso… santo cielo! E vedendo i Giovani, oggi, penso…
D-D