Complice è la notte

Devono essere quasi le tre di notte. Guarda che luna, se ne sta lì, sospesa a spiare due figure lontane, e magari si chiede che ci facciamo qui, col freddo di una notte d’inverno, seduti in riva al mare. Chissà se si rende conto di essere bellissima; chissà se ricorda tutte le notti che ho passato a guardarla. Non credo, cosa vuoi che gliene freghi, alla luna.

Che silenzio! Sono passati più di vent’anni, dall’ultima notte così, con LEI, su questo piccolo arco di spiaggia. Un posto incantevole. D’estate non ci sono mai venuto, e forse nemmeno lei. Non volevo vederlo, violentato da centinaia di grassi rotoli adiposi stesi al sole a seccare, perizomi in attesa di essere sfilati e olio solare. No, noi ci venivamo d’inverno, quando la spiaggia era solo per noi, e certe notti la luna era come una enorme lampada sospesa che illuminava d’azzurro ogni cosa. Poetico.

Eccola che ritorna. E’ andata al bar a prendere qualcosa di forte da bere. E’ bella, è sempre stata bella, anche se, forse, è solo il ricordo di qualcosa che vive nella mia mente. Un tempo eravamo inseparabili, poi ci siamo persi. Neanche ricordo quando è stata l’ultima vota che ci siamo visti ma, in fondo, che importanza ha? Eravamo felici, io e LEI.

Il bar ha chiuso. Beh, sono le tre di notte, in fondo. Però qualcosa di forte ci voleva, fa freddo qui e poi sento che la mia schiena non sopporta più tutta questa umidità. Bisognerà organizzarsi, almeno portare una coperta da stendere sulla sabbia. E dire che un tempo facevamo l’amore, su questa sabbia, al freddo, d’inverno. Che strano che non ci siamo mai innamorati l’uno dell’altro. O forse sì, forse lo eravamo davvero ,innamorati, ma non lo capivamo. A noi piaceva venire qui, dopo aver lasciato a casa i pensieri, i fidanzati, Sofia e il mondo intero. Ci bastava uno sguardo per capire. venivamo qui, al bar sulla spiaggia, all’epoca non c’erano i ragazzi che ho visto oggi, c’era una coppia del nord, una bella coppia, eravamo diventati amici. Bevevamo birra, o qualsiasi altra cosa, fumavamo erba e ridevamo. Io le raccontavo i miei problemi e LEI sorrideva, mi raccontava di sé e d’incanto eravamo felici. A volte facevamo l’amore sulla spiaggia, quando c’era la luna piena. Sono solo ricordi, forse i soli che sono riuscito a salvare.

Chissà perché ho sposato Sofia. Era chiaro che non ci amavamo più come prima. Forse l’abitudine di vederci, forse mi sembrava normale sposarci dopo tento tempo. Eppure era bella, Sofia. Un tempo eravamo veramente innamorati. Poi, il tempo, l’abitudine, le delusioni reciproche hanno fatto il loro sporco lavoro. All’inizio eravamo una cosa sola, già, una cosa sola, e poi, ad un certo punto, non eravamo più accanto ma di fronte, come dice LEI. Di fronte, come il resto del mondo. Sofia dice che sono cambiato, che non capisco. Ci siamo lasciati soli, e alla fine, anche il matrimonio non è bastato a tenerci insieme. Peccato. Io, però, non riesco a odiarla. Sofia sì, lei mi odia, ha detto che spera di venire al mio funerale. L’ho detto a LEI, questa notte, le ho detto: “certo che mi odia; come definiresti una che spera di venire al mio funerale?” Mi ha guardato, e mi ha risposto: “Impaziente?” Mi piacciono le sue risposte, mi fanno dimenticare che sono una persona banale. E mi piaceva quando facevamo i nostri discorsi strampalati, quando gli altri ci rompevano le palle con la loro ipocrisia, sempre dalla parte della ragione. Avessimo mai avuto torto, in qualche occasione! A Sofia non piaceva che io e LEI ci mettessimo a parlare da soli, isolandola, insieme al resto del mondo, fuori. Ma a noi non importava.

Stamattina l’ho chiamata, dopo ventiquattro anni. Ci ho pensato a lungo. Ho anche fatto delle domande, in giro, per sapere come sta, cosa fa. Sapevo che LEI e Luca si erano lasciati, sapevo che LEI ha una figlia di ventiquattro anni. Ecco, ora ricordo quando ci siamo visti per l’ultima volta: è stato una mattina di maggio, davanti al mio ufficio. LEI era allegra, abbiamo fumato una sigaretta insieme e, ridendo, mi ha detto che aspettava un bambino. E’ stata l’ultima volta che ci siamo visti. Se lo avessi saputo, non sarei tornato a lavorare, non l’avrei lasciata andare. Non avrei mai pensato che quella sigaretta, seduti sul cofano della sua macchina, sarebbe diventata un ricordo così doloroso. Beh, quella bambina è diventata una donna. E noi, non lo so cosa siamo diventati, noi.

LEI mi ha raccontato della sua vita. Non la conoscevo, così. E’ proprio vero che siamo cambiati, adesso ci diciamo la verità, senza vergogna. Non ci facciamo una bella figura.

Io le ho raccontato della mia malattia. Non avrei dovuto. Però è stato bello vedere i suoi occhi pieni di lacrime, mi ha fatto sentire meno solo. Non ce l’ho fatta a vederla così, le ho detto che scherzavo. Per poco non mi ha mandato al diavolo. Certo che da quando mi sono separato, non ne imbrocco una. Questo glioblastoma, penso che sia una buona soluzione. All’inizio non lo conoscevo bene, ho anche sperato che se ne andasse. Credo che anche per lui fosse la stessa cosa. Adesso ci parliamo; sì, quando mi prende la paura della morte, certe notti insonni, quando mi sento proprio solo, lui mi parla. E la paura passa. E’ stato lui a suggerirmi di rivedere LEI. Tra tutti i volti del passato, ha scelto LEI. Gliene sono grato.

Però, fa proprio freddo. Dovrei avere una coperta in macchina. Vado a prenderla.

Tra poco è l’alba. Chissà se fanno ancora i cornetti caldi, qui vicino. Ci vorrebbe proprio un cornetto caldo, con questo freddo. Vorrei che non sorgesse più il sole, potremmo fingere che questa notte duri in eterno. In fondo, eravamo bravi a fingere.