All’inizio di un luglio caldissimo, sul far della sera, un giovane uscì dallo stambugio che aveva in affitto nel vicolo S., scese nella strada e lentamente, quasi esitando, si avviò verso il ponte di K. Ebbe la fortuna di non incontrare per le scale la padrona di casa. Il suo stambugio si trovava proprio sotto il tetto di un edificio alto cinque piani, e sembrava più un armadio che una stanza. La padrona di casa che gli affittava quel buco, vitto e servizi compresi, abitava una rampa di scale più giù, in un appartamentino indipendente, e ogni volta, per uscire in strada, egli era costretto a passare davanti alla cucina della padrona, che teneva quasi sempre spalancata la porta sulle scale. Ogni volta che passava davanti a quella porta, il giovane provava una sensazione vaga e invincibile di paura, e poiché se ne vergognava, faceva una smorfia di stizza. Era sempre in arretrato con l’affitto, e temeva di imbattersi nella padrona.
Non che fosse timido e vile a quel punto, tutt’altro; ma da un po’ di tempo attraversava uno stato di irritabilità e di tensione molto vicino all’ipocondria. Si era talmente chiuso in se stesso e isolato dal resto del mondo che la sola idea di incontrare qualcuno – non solo la padrona, ma chiunque – lo metteva in agitazione. Era afflitto dalla miseria; eppure persino le ristrettezze, negli ultimi tempi, non gli pesavano più.
Inizio da qui. E’ la prima pagina di un libro bellissimo, come bellissimi sono tutti i libri di questo autore. Però, questo è il primo che ho letto, suo, e mi è rimasto particolarmente caro. L’ho letto di notte, in un periodo particolarmente buio della mia vita; me lo sono trovato davanti, su uno scaffale e l’ho preso. L’ho rubato. Sì. O forse l’ho salvato dalla muffa e dagli acari. Quando lo riprendo, cosa che accade spesso, con le pagine, scorrono davanti a me anche le immagini di quei giorni difficili, gli appuntamenti notturni con questi fogli dai bordi ingialliti capaci di chiudere la porta in faccia al mondo e aprire quella della mia mente, dei miei pensieri, la mia vera vita.
Di questo autore e di questo libro, Pier Paolo Pasolini ha scritto:
«Non solo ha prefigurato Nietzsche e tutta la cultura nietzschiana, non solo ha prefigurato Kafka, cioè almeno metà della letteratura del Novecento […] ma addirittura ha prefigurato, precorso, preteso Freud. A meno che egli non sapesse già tutto ciò che Freud avrebbe scoperto. […] Ciò mi riempie di una sconfinata ammirazione, pari almeno a quella che sento per la impareggiabile “sceneggiatura” del romanzo».